DIGITAL HEALTHHEALTH & TECHNOLOGY

L’iperconnessione migliora la vita?

Chris Dancy, americano di 45 anni, è diventato famoso per essere l’uomo più connesso al mondo.
Normalmente utilizza fino a 700 dispositivi digitali di tutti i tipi: dai più comuni smart watch e activity tracker, ai Google Glass, e agli accessori hi-tech per la domotica. Ogni singolo momento della sua vita è tracciato e registrato: cosa mangia, quanto beve, quando dorme, quante email riceve, dove scatta fotografie… persino l’attività dei suoi cani è costantemente monitorata. I suoi dati sono anche disponibili on line per i più curiosi (data.chrisdancy.com).
Secondo Dancy questa iperconnessione, nata per la difficoltà di tenere sotto controllo le sue cartelle cliniche, è oggi in grado di migliorargli la vita grazie all’enorme quantità di informazioni raccolte. Come ha infatti dichiarato recentemente alla Connected Health Conference di Boston, il monitoraggio dei comportamenti è il primo passo verso un’ottimizzazione della quotidianità in ottica salute.
Grazie al fatto di essere sempre connesso, dice di aver sviluppato abitudini più salutari che l’hanno aiutato tra l’altro a risolvere i suoi problemi di obesità, perdendo ben 45 kg.

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Quantified Self
Un termine nuovo che in pratica significa “autotracciarsi” per conoscersi meglio con l’aiuto della tecnologia. Analizzare i dati sui propri comportamenti può senza dubbio rappresentare un beneficio per la salute: ad esempio avere semplicemente un’idea precisa del proprio livello di attività (… o inattività) aiuta a inquadrare meglio gli obiettivi di peso e forma fisica, per questo Dancy consiglia la cosa più scontata a chi vuole cominciare a monitorare i propri dati, ovvero comprare un dispositivo wearable come uno smart tracker.
Ancora più semplicemente, basta acquisire consapevolezza di tutte le informazioni sulla nostra salute che ormai ogni smartphone raccoglie di default, e delle quali spesso neanche siamo a conoscenza.
Dancy spiega che oggi è molto più facile tenere traccia dei propri comportamenti; racconta infatti che quando lui ha iniziato, nei primi anni 2000, non c’erano tutte queste opportunità di Digital Health, e per estrarre delle informazioni sul suo stile di vita doveva fare ricorso al calendario di Google, tracciando la sua attività in rete.
Analizzare la sua presenza e le sue abitudini su internet gli ha così permesso di “scoprire” e adottare nuovi modelli di comportamento più “virtuosi”.

Rivoluzione smartphone
L’avvento degli smartphone ha rappresentato l’inizio di una nuova era di Digital Health per Dancy. La rivoluzione consiste nell’avere sempre con sé una sorta di piccola-grande scatola nera che memorizza un’enorme quantità di dati personali. Riuscire a mapparli dandogli una struttura, gli ha permesso ad esempio di capire quando stava trascorrendo del tempo in “aree di vita” inutili o dannose per i suoi problemi di salute, modificando di conseguenza la sua routine.
La prima abitudine che ha cambiato è stata quella di uscire a bere e ubriacarsi il venerdì sera: utilizzando un’app di geofence, dopo un’ora di permanenza al bar, pagando i drink con la carta di credito un alert gli diceva a tornare a casa. Trovando il sistema molto efficace, ha così creato un sistema di feedback esterni per cominciare a tracciare altri comportamenti casuali.
Tutto perfetto dunque? Fino a un certo punto, perché Dancy avverte di un rischio collegato a questa iperconnessione: se in teoria, tracciare ogni abitudine dovrebbe risultare “responsabilizzante”, a volte potrebbe però innescare un meccanismo inverso detto “shamification”, causando eccessiva pressione e ansia, facendoci sentire demotivati e in colpa per quello che stiamo, o non stiamo facendo.

Fonte:
www.mobihealthnews.com

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